• architettura naturale

    VORREI

    Legaloscegialle, che titolo strano, eppure è così importante dare un nome alle cose. Ho scritto un articolo-storia per spiegare cosa mi abbia ispirato nel chiamare questo blog Legaloscegialle. Ora ho pensato di scrivere di cosa possa parlare questo blog, di capire a chi potrebbe essere indirizzato, quali saranno i suoi contenuti, quello che mi guiderà nello scegliere di cosa parlare.

    Avevo iniziato a scrivere un manifesto a punti, come il Manifesto del futurismo, ma poi sono andata a leggerlo e non mi è piaciuto per niente, tutto inno alla lotta, alla guerra, al disprezzo della donna (bah non me ne ero mai accorta, quando pensavo a futurismo pensavo solo al mito per il progresso e alla velocità).

    Così scriverò un riassunto che farà un po’ da filo rosso (o giallo!) a questo blog, e non lo chiamerò manifesto ma VORREI:

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    una casa in Norvegia, quando l’architettura incontra la natura, foto di chiara baravalle

    Vorrei che l’Architettura fosse sempre naturale e sostenibile, non come quella sostenibilità che ci propugnano da qualche anno, tutta fatta di pannelli fotovoltaici o prodotti bio, che costruisce una scatola di vetro con l’aria condizionata al suo interno per creare una situazione di comfort, ma quella architettura sostenibile che fa parte del nostro mondo da sempre, che faceva dire a un famoso antico greco “Solo i primitivi e i barbari non conoscono le tecniche per orientare gli edifici in modo da catturare il sole d’inverno.” (Eschilo – V sec. a.C.)[1]

    Vorrei che si partisse ricostruendo e sistemando da quello che si ha a disposizione prima di costruire il nuovo.

    Vorrei che tutti gli spazi vuoti fossero sistemati con cura (Che bello sarebbe il mondo se ognuno si prendesse cura dello spazio a lui affidato privato e/o comune!).

    Vorrei che nell’arredare le nostre case ci si ispirasse un po’ di più all’arte dell’ikebana[2].

    Vorrei che non costruissimo più! Ripartiamo da quello che abbiamo, dalla nostra storia, dal nostro “intangible cultural heritage” (ICH)[3] e dal nostro patrimonio nascosto o abbandonato.

    Vorrei che avessimo un po’ più cura per i particolari e i dettagli.

    Vorrei che ognuno di noi riscoprisse la propria creatività e capacità costruttiva (per chi vuole può iniziare magari leggendo “Autoprogettazione?” di Enzo Mari).

    Vorrei che nel fare architettura o design seguissimo il consiglio di Enzo Mari “usate la concretezza”, “siate umani e progettate per il mondo”[4].

    Vorrei che nel mondo ci fosse un po’ più di ordine (a partire da casa mia, sono una disordinata cronica!)

    Vorrei che iniziassimo tutti a vivere con semplicità, anzi a “semplificare”[5].

     

     

     

    [1] Citato in questo articolo di architettura ecosostenibile di cui vi consiglio la lettura
    [2] Arte giapponese del comporre con i fiori
    [3] Patrimonio culturale intangibile, definito dall’Unesco qui
    [4] intervista a Enzo Mari
    [5] Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, Editori Laterza, 2009, pag. 132

     

     

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    quando infilarsi un paio di galosce

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    Fin da piccola il mio umore è stato molto influenzabile dal tempo. Sono nata nella calda e solare città degli acquedotti, delle cupole e dei vicoli con i cubetti di basalto, passeggiavo tranquilla per i grandi giardini e i sette colli quando un giorno mio papà decise di spostare tutta la famiglia nella città che aveva una grande chiesa con le guglie ed un castello. Il giorno della partenza sia io che il mio fratellino eravamo molto tristi, così tristi perché sapevamo che non avremmo più potuto giocare nel parco dietro casa insieme ai nostri amici, camminare per le strade giocando a nascondino dietro ai vicoletti, o saltare giocando “a campana” nel cortile sotto casa. Nello stesso tempo eravamo molto ansiosi di conoscere la nuova città dove insieme ai nostri genitori avremmo trascorso le giornate avvenire. Sopratutto io ero molto eccitata perché la mia curiosità era stata sollecitata da un piccolo regalo. Non capivo il perché la mia zia preferita mi avesse regalato proprio un paio di galosce; è vero erano di un bel colore ma non il mio preferito. E così dopo qualche giorno scoprii che un paio di galosce gialle è proprio quello che ci vuole per poter affrontare una giornata di pioggia nella grigia città di Milano, che poi tanto grigia non lo è se la si attraversa con un paio di galosce gialle ai piedi e tanta voglia di conoscere e scoprire i suoi palazzi, le sue vie, la sua storia. Questo è quello che cerco sempre di portarmi dietro quando affronto un nuovo viaggio, quando vado a visitare una città mai vista, quando mi perdo per una mostra, quando scopro un nuovo gioco…e questo è quello che vorrei regalare a tutti coloro che hanno voglia di indossare un paio di galosce gialle!

    foto: GAP via marieclaire

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