L’anima della casa
Sono passati più di quaranta giorni dalla prima volta in cui ci siamo interrogate, durante la quarantena, di come stessimo vivendo le nostre case. Abbiamo ricevuto molte foto e spunti interessanti da colleghi, amici, lettori e altre famiglie. Qui proviamo a riassumere quali sono stati i diversi modi di “abitare le case”, e quali riflessioni potrebbero accompagnarci per il futuro.
Pensiero sull’abitare
Ci piace iniziare questo articolo facendo un breve excursus sul tema dell’abitare. Nel corso dell’ultimo secolo, in particolare a partire dagli anni ’70, si è cercato di rispondere a un’esigenza funzionale, nel costruire le abitazioni, che ha portato a realizzare case uguali e identiche in ogni parte del mondo, dimenticandosi che la casa è una manifestazione dell’anima degli individui e una risposta ai loro bisogni più intimi.
In un bellissimo articolo di Domus di qualche anno fa, il filosofo Riccardo Paradisi parla proprio della perdita del senso dell’abitare, la cui soluzione andrebbe cercata in un “pensiero capace di sguardo, di ascolto e di cura”.
Ci siamo abituati ad affrontare il tema dell’abitazione attraverso una chiave di lettura esclusivamente economica, dimenticando di interrogarci invece anche su altre questioni, relative alla nostra umanità, all’essenza dell’abitare. E più in particolare a come vorremmo abitare le nostre case.
Heidegger nel suo saggio “Costruire abitare pensare” del 1951, in concomitanza con l’avvio del boom economico ed edilizio postbellico, preannunciava che “solo se abbiamo la capacità di abitare possiamo costruire”: “Per quanto dura e penosa, per quanto grave e pericolosa sia la scarsità di abitazioni – scrive Heidegger – l’autentica crisi dell’abitare non consiste nella mancanza di abitazioni. […] La vera crisi dell’abitare consiste nel fatto che i mortali sono sempre in cerca dell’essenza dell’abitare, che essi devono anzitutto imparare ad abitare”.
Dalla fine del nomadismo la casa è sempre stata il simbolo del centro vitale degli uomini, rispondendo ai loro bisogni ancestrali. Ancora oggi, nonostante il lento processo di appiattimento dettato dalla globalizzazione e il funzionalismo estremo che soggiace alle regole dell’economia e dell’urbanistica, le “componenti dell’abitazione, le sue stanze e le sue caratteristiche tecniche o architettoniche, sembrano rimandare a simboli e icone della psicologia individuale più profonda” (Psicologia dell’Abitare, Tommaso Filighera e Alessandra Micalizzi, Franco Angeli 2018).
Abitare le case: la casa come tana, nido, rifugio.
In questo periodo di permanenza forzata ci siamo messi in osservazione. E la domanda sull’abitare le nostre case è diventata sempre più importante.
Partendo da questa lettura sulla casa e in generale sull’abitare di Heiddeger, possiamo dire che chi abita davvero, forse, è colui che all’interno della propria casa è in grado di liberare la sua anima, riscoprendo i legami con quei simboli antichi e trasformando così l’abitazione in una “tana” unica e irripetibile, rifugio accogliente e sicuro.
Su questo ne sanno qualcosa i bambini, che in questo periodo particolare, hanno di giorno in giorno “costruito tane”, piccole case dentro le loro case. Per sentirsi al sicuro, per poter giocare, parlare, confidarsi.

Questo lungo periodo di “quarantena”, che ci ha tenuto in casa per molte ore, e ancora oggi ci fa sentire più sicuri rispetto al mondo esterno, ha rappresentato un’occasione importante per recuperare questo primitivo rapporto con il nostro nido.
Forse, se ci liberiamo dalle sovrastrutture mentali svincolandoci anche dalle immagini delle case perfette e patinate delle riviste di interni o di instagram, probabilmente riusciremo a “sentire” meglio come stiamo, come vorremmo abitare.
Per poter vivere bene nelle nostre case, le nostre “quattro mura”. Per conoscersi e ricercare degli spazi più veri. E, per quanto riguarda noi progettisti, per cercare di creare degli spazi più a misura dell’uomo.
Abitare le case e i suoi luoghi
Sulla base della nostra osservazione e delle istantanee ricevute da chi ha voluto partecipare a questa riflessione lanciata insieme alle colleghe di Archingreen ad Aprile ( vi riporto l’articolo iniziale qui), abbiamo pensato di raccontare, attraverso alcune foto, quali sono stati gli spazi più abitati delle nostre case.
Spazi o “elementi” della casa che si sono rivelati fondamentali e che grazie a questo lungo periodo di osservazione abbiamo potuto guardare con occhi nuovi. Raccogliendo un nuovo “abaco” dell’abitare, nuove definizioni degli spazi della casa!
Le finestre
Fondamentali aperture nella parete esterna, per portare dentro lo spazio chiuso la luce e l’aria naturali. Le finestre hanno anche il tacito ruolo di mantenere uno scambio con il mondo esterno, alla stregua di veri e propri occhi della casa. In questo periodo particolare le finestre hanno rappresentato per molti l’unica opportunità di relazione con le altre persone, con la natura e simbolicamente con il resto del mondo.


Foto di Luna Le Gall, studentessa del Politecnico di Milano. Final Design Studio Quarantined House-lives. A biography.
In alcuni casi sono stati veicolo di scambio e hanno permesso il passaggio di oggetti come ha potuto raccontare una studentessa del Politecnico attraverso alcuni scatti di vita di quotidiana quarantena. [1]
Durante il laboratorio finale di progettazione infatti gli studenti sono partiti dall’osservazione delle loro case per poter riflettere su alcune tematiche, su alcuni usi di spazi e su nuovi modi di abitare le case. Qui il sito su cui sono stati raccolti alcuni materiali elaborati durante il corso.
I balconi
“Sospesi” nel vero senso della parola, vincolati alla casa ma proiettati verso l’esterno. Per chi li ha potuti sfruttare hanno rappresentato un’importantissima chance per vivere all’aria aperta pur restando in casa.

A volte i balconi in moltissime soluzioni abitative sono relegati, stretti, scomodi, all’ombra, con ringhiere dal disegno forse essenziale ma poco sicure. Nonostante ciò, come i palchi di un teatro, in alcuni casi hanno permesso ai loro abitanti di sentirsi ancora parte di un mondo che andava avanti, anche durante il lock-down più rigido.
Sicuramente sono spazi di cui dobbiamo prenderci maggiormente cura, durante la progettazione ma anche durante la vita della casa soprattutto nelle città, essendo spazi ibridi di collegamento tra il mondo interno e quello esterno. Un po’ come nel progetto della Casa N di Sou Fujimoto che riprende la tradizione giapponese di rapporto con la Natura inserendola all’interno della casa.
Camera da letto
Nella distribuzione della casa la camera da letto generalmente occupa il posto più lontano dagli spazi di relazione. Ambiente preposto al riposo per eccellenza, luogo esclusivo dell’intimità soprattutto per gli adulti ma anche per i ragazzi. La camera da letto dei genitori è per convenzione preclusa al gioco dei figli. Ma in questi giorni sono cambiate anche le “regole” interne della casa.

Proprio in virtù di questa peculiarità, per molti è divenuta lo spazio dello smart-working, traslando ironicamente la sua funzione da zona adibita al riposo a luogo di lavoro incessante.
In altri casi invece, la camera da letto ha aperto le sue porte per ospitare giochi di movimento ed esplorazione, scoprendo per arredi e spazi nuove capacità e nuove potenzialità che non erano state pensate durante la sua progettazione, nuove “affordances”, che aumentano la potenzialità di un oggetto.

Cucina
Rappresenta lo spazio dell’accoglienza, della convivialità, del focolare domestico attorno al quale si riuniscono la famiglia o i suoi ospiti. Come per una formula matematica esponenziale, si è trasformata in un fulcro di attività eterogenee, differenti per esigenza del nucleo familiare, età dei suoi componenti e anche per orari.
Da aula didattica la mattina, spazio relax nel primo pomeriggio, area gioco, laboratorio creativo o addirittura “aula disegno” dopo merenda!


Soggiorno
La zona giorno delle nostre abitazioni non ha conosciuto né tregua né ordine per moltissime settimane. Abbiamo dovuto svincolarci in fretta, per questa zona della casa, dall’idea di perfezione e formale apparenza che spesso le attribuiamo durante la vita quotidiana, a causa di format culturali pregressi. Chi è riuscito in questo intento ha potuto dare moltissime risposte alle molteplici esigenze derivate dal vivere forzatamente in casa.
Ecco quindi sale da pranzo e soggiorni che diventano sale gioco.

Oppure camere/studio e soggiorni che per esigenze lavorative sono diventate sale prova di video lezioni di danza o “palestre di ginnastica”, e infine sale-regia per spettacoli online, come quelli della Compagnia Balafori di Alessandra Costa.
In questi casi a uno sfondo che entra in scena, ne corrisponde sempre uno che rimane il “backstage”, con computer, telecamera e microfoni!


Corridoio
Infine, corridoi, disimpegni e spazi distributivi non sono mai stati così preziosi come in questo periodo. Non hanno alcuna evocazione simbolica nel concetto atavico di casa. Corridoi e disimpegni hanno esclusivamente un ruolo funzionale, distributivo appunto. Eppure, forse proprio per la loro assenza di caratterizzazione, sono divenuti spazi fortemente evocativi, in particolare per il gioco dei bambini.


Per chi ha investito del tempo nell’osservare queste dinamiche, è risultato evidente come uno spazio poco connotato come ad esempio ballatoi, disimpegni e corridoi, si presti a infiniti usi. E quando uno spazio neutro incontra la fantasia di un bambino emerge una girandola di opportunità.

Abitare la casa: quali riflessioni per il futuro?
L’osservazione della casa, di come siano stati abitati i suoi spazi o di come siano stati “trasformati”, ci hanno portato ad alcune riflessioni di carattere generale sulla progettazione e sui ruoli di progettisti e abitanti. Ma anche a una riflessione più specifica, sugli usi degli spazi, sulle loro caratteristiche e sulla loro capacità di trasformazione.
Spazi “liberi”
Abbiamo trovato interessante provare a raccontare le caratteristiche della “casa da abitare” attraverso la “rilettura” di alcuni spazi e foto.
Da qui alcune domande: Quale spunto intendiamo cogliere noi progettiste? E soprattutto quali suggerimenti vogliamo dare a chi pensa al progetto futuro della propria abitazione?
Possiamo dire che più uno spazio o un oggetto risulta “libero”, tanto più questo ha la capacità di ospitare diverse attività e si può trasformare. Molti luoghi della casa si sono rivelati flessibili. E forse, questo non dipende solo dalla casa in sé ma soprattuto da chi la abita e da chi la osserva. Meno uno spazio è stato connotato o “riempito” di oggetti, più ad esso viene lasciata la capacità di modificarsi e trasformarsi. E questa capacità coinvolge non solo gli spazi ma soprattutto i suoi abitanti, si trova negli occhi di chi la guarda e la vive, la abita.
La casa come anima e mondo
Altre riflessioni riguardano la casa, il suo essere e il suo modo di pensarla. Ma anche l’abitante e il suo modo di vivere la casa.
La casa possiede degli occhi, ha un cuore, è un organismo vivente, e non un semplice insieme di elementi disgiunti, accostati per funzione ed estetica. Proprio per questo può entrare in sinergia virtuosa con l’anima e il corpo di chi la vive.
Lo abbiamo visto, ci è stato dimostrato. Ma allora questa visione può forse rappresentare il punto di partenza per recuperare l’identità tra individuo e ambiente abitativo?
Per usare le parole del filosofo Marco Guzzi, la casa non è solo un luogo fisico, può essere intesa come anima e il mondo insieme. La casa in cui noi abitiamo non è soltanto un luogo spazializzato e costruito ma è anche un luogo interiore [2]. Come diceva il poeta Holderlin “poeticamente abita l’uomo“.
La progettazione è un processo integrato e affatto lineare, prima di giungere alla versione definitiva si analizzano molteplici scenari. Tutto avviene sul piano oggettivo delle scelte funzionali, tecnologiche e della convenienza economica. Ma non è solo questo.
Il destinatario finale, (che sarà poi l’abitante della casa), a volte interviene solo per questioni estetiche e di design. Invece da sempre e da oggi sempre di più una carta vincente per la riuscita del progetto sarà il progetto partecipato. Attraverso una relazione sinergica tra progettista e utente finale, soprattutto per la casa, ma anche per tutti gli altri spazi ospitali, dagli uffici, agli ospedali, alle scuole (ultima ma non per ordine di importanza!)
Da progettiste ci rendiamo conto di come spesso nella progettazione manchi l’aspetto soggettivo, di discussione e indagine delle proprie intime necessità e aspettative. E’ un tassello importante che qualche progettista sovente indaga, ma il destinatario finale a volte sottovaluta, poco incentivato a esporsi fino al punto di interrogarsi davvero sul proprio concetto di casa. Sul proprio modo di “abitare la casa”.
Attraverso queste foto abbiamo voluto raccontarvi che gli spazi possono essere fluidi, e che la casa può essere intesa come luogo che possa rispondere ai bisogni intimi dell’uomo, a sua misura. E, forse, una casa può essere a misura dei suoi abitanti quanto più i suoi spazi, in fase di progettazione, vengono lasciati “liberi”. Liberi di poter essere ri-progettati e reinventati ogni giorno.
A cura di Chiara Baravalle con Emanuela Cacopardo e Roberta Tredici (Archingreen)
Note:
[1] Elaborati degli studenti del Politecnico di Milano. Final Design Studio Quarantined House-lives. A biography.
[2] Marco Guzzi, poeta e filosofo, Introduzione all’incontro “A quale casa vorremo tornare, ora che siamo usciti? Conversazione sull’abitare in trasformazione dopo la crisi, tra città, borghi e contrade”, INBAR, #iorestoacasaconlabioarchitettura.
